Storia di un ex bullo

a cura di: ELEONORA FRANCESCA GROTTO
#22
#bullismo
17/02/2020

Spesso, quando sentiamo parlare di bullismo e cyberbullismo, la nostra prima reazione è giustamente quella di solidarizzare con la vittima.

Chi subisce merita tutte le attenzioni della società per poter superare un episodio traumatico e ritrovare quella sicurezza in se stessi che permetterà di vivere una vita serena.

Pensare però, che una società sia considerabile matura, solo se è in grado di prendersi cura delle vittime, senza invece lavorare sul recupero del “carnefice”, significa aver già perso in partenza.

Spesso, i cosiddetti bulli, arrivano da situazioni familiari o sociali difficili, in altri casi hanno problemi con loro stessi e nessuno che li aiuti a incanalare il proprio malessere in qualcosa di positivo; in quest’ottica, possiamo quasi affermare che il bullismo sia più una carenza della società che dei singoli individui. Infatti, sempre di più siamo portati a voler mettere in luce solo gli aspetti positivi e brillanti, di noi stessi e della realtà che ci circonda, nascondendo tutto quello che reputiamo brutto, fallimentare, o anche solo poco degno di essere condiviso.

Trattiamo le persone come post di Instagram e con la stessa velocità con cui mettiamo un like o facciamo un unfollow, ci dimentichiamo dei problemi degli altri, ma continuiamo a giudicare le loro azioni.

Per fortuna però, ogni tanto la cronaca viene illuminata da notizie positive, da eventi che ci dimostrano come sia possibile lavorare su tutti gli aspetti di un problema e uscirne vincenti.

DA BULLO AD EDUCATORE

Il 13 febbraio, sul Corriere della Sera, esce una notizia che racconta una storia un po’ diversa dal solito, la storia di Daniel.

Daniel si è appena laureato in Scienze della Formazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed è pronto per iniziare la sua nuova vita come educatore; addirittura si sta già prendendo cura di un ragazzo difficile.

Un ragazzo come poteva esserlo lui fino a poco tempo fa.

Perché quella di Daniel, è la storia di un ex bullo, con una bella fine, ma un inizio meno roseo.

L’altro giorno, ad applaudirlo, c’erano alcune delle persone più significative della sua vita: la Pm del Tribunale per i minorenni che all’epoca rappresentò la pubblica accusa in tutte le udienze, una docente in pensione del carcere di San Vittore e don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria (carcere minorile), tutte persone che in questi anni lo hanno messo davanti alle sue responsabilità per poi prenderlo per mano ed accompagnarlo verso una nuova vita.

Una storia di violenza, pestaggi e rapine, quella di Daniel, diventato uomo a Quarto Oggiaro, una delle realtà più complesse dell’hinterland milanese e conclusasi con delle condanne che lo hanno costretto a fare i conti sul suo passato e a riflettere sul suo futuro.

«La brutalità è indice di povertà di pensiero — dice oggi Daniel — È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. I violenti hanno profondissimi problemi di linguaggio. Quando non sai chiamare il dolore e la rabbia con il loro nome ti scateni così, come un animale. Io l’ho capito, e lo voglio spiegare al maggior numero di ragazzi possibile».

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