Le forme striscianti di aggressione

a cura di: BARBARA ALESSIO
#12
#società #vittima
13/11/2019

“Siamo pericolosi quando non siamo coscienti della nostra responsabilità rispetto a come ci comportiamo, pensiamo e sentiamo”

– Marshall B. Rosenberg –

A proposito di chi urla in tv, insulta sui social, espone ciò che pensa distruggendo oggetti o dando fuoco alle cose per dare rilievo alla propria posizione… E’ solo esibizionismo? E’ solo mancanza di buona creanza? E’ qualcosa che riguarda solo il singolo? Ebbene: no. E’ un’aggressione pubblica e contribuisce alla perdita di salute della comunità. E’ una condotta scriteriata che ci danneggia profondamente. Che rende le persone pericolose per sé e per gli altri: proprio così, pericolose e fallimentari.

Molta parte delle energie dei genitori quando sono alle prese con la crescita dei figli, sta nella faticosa impresa di educarli a quella che gli psicologi e gli etologi chiamano “gestione degli impulsi”. Ovvero all’autocontrollo. La capacità di governare gli impulsi del momento, a non scaricarli direttamente nell’azione senza la mediazione dei centri razionali, è una tappa fondamentale dello sviluppo della persona, che gli servirà per una buona regolazione dei comportamenti che riguardano la sua salute e sicurezza e per mantenere fecondi scambi interpersonali. Non è poco vero?

Insegnare ad un bambino a non scagliare la macchinine quando è arrabbiato, a non tirare uno schiaffo per ottenere subito il gioco che ha in mano l’amichetto e che lui vuole ardentemente, a non insultare la maestra quando lo riprende permette alla sua psiche di rinforzare l’autocontrollo. Una delle facoltà psichiche più importanti ai fini di quella che sarà la sua realizzazione come persona in ambito lavorativo, sportivo, amicale. Perché gli insegna, dice la psicologia, a modulare l’urgenza dei suoi bisogni, a posticipare la ricerca di un piacere immediato integrandola con altri elementi della realtà. Se non picchio l’amichetto, potrò avere un amico, qualcuno che mi ascolterà e mi conforterà, mi farà compagnia e potrà insegnarmi tante cose. Val la pena aspettare che posi il gioco che voglio; glielo posso chiedere, posso cercare di giocare con lui rendendo il gioco più complesso e divertente, posso cercare altro scoprendo qualcosa di nuovo. Soprattutto, imparo a mantenere un buon clima, dove tutti possiamo stare meglio. Imparo che non esisto solo io e che non è detto che quello che ho in testa valga più di quello che c’è fuori. Da adulto, avrò strumenti per contrastare diverse forme di dipendenza, per impegnarmi in obiettivi a lungo e lunghissimo termine, per lavorare di squadra, per occuparmi non solo delle mie istanze ma di quelle della mia famiglia, della mia comunità  e dell’intero pianeta. Mica poco, vero?

Tutto questo, con enorme pazienza, genitori ed insegnanti, educatori e coach ce lo spiegano per tutta la nostra infanzia ed adolescenza. Su questo aspetto di autoregolazione e modulazione del comportamento si fonda la maturità dell’individuo e la possibilità di una cooperazione sociale. Mica poco, vero?

Poi, arrivano i social. E intorno a noi, in maniera davvero sconsiderata, si agita una moltitudine di persone che vogliono tutte essere “il più autorevole”; vogliono dimostrare di avere ragione. E hanno bisogno di farlo in modo veloce. Subito. Dovendo apparire di continuo, essere presenti e dire la propria su tutto, presentarsi come onniscienti e sicuri di sé ma trovandosi davvero tra moltissimi con le medesime intenzioni e pretese (tutti vogliono lo stesso gioco, insomma) regrediscono a fasi antecedenti dello sviluppo. Urlano, insultano, minacciano, scherniscono. Capita che spacchino qualche cosa, che mostrino sguaiatamente ciò che per loro ha o non ha valore. Noi li osserviamo. Magari ridiamo, parteggiando o deridendo. E ci pare finisca lì. No. Non finisce lì. 

Perché in modo piuttosto virale, per i meccanismi che regolano l’interazione dei gruppi sociali, quelle scene si depositeranno nella psiche individuale e collettiva. Accenderanno qualche animo, indigneranno qualcun altro. Nessuno comunque ne resterà immune. Ogni nostro comportamento influisce su quello degli altri. E quello di individui che per professione rivestono ruoli sociali e istituzionali hanno certamente un impatto maggiore sugli interlocutori. La geografia di un leader (non importa se sia politico, religioso, dello spettacolo o dello sport) è quella dello stare al centro e in alto. Tutti lo osservano, tutti cercano di imitarlo, si rifanno a lui anche se a lui si oppongono. Il suo stile di comportamento diventa un modello di apprendimento per tutte le persone che gli stanno intorno, con effetti che si misurano a breve termine ma anche sul lungo periodo. Se è aggressivo contribuisce a legittimare forme di interazione sociale connotate dalla prepotenza e dal discontrollo degli impulsi, dalla facile perdita di autocontrollo. Se è aggressivo, legittima l’aggressione. La insegna.

E’ preoccupante il lascito comportamentale che i nostri leader ci stanno regalando. Quella che viene definita “labilità emotiva”, la mancanza di autocontrollo e di modulazione del comportamento rendono la persona estremamente inconcludente, instabile, iperreattiva. Tutte modalità che di fatto fanno perdere potere personale all’individuo, che si abituerà ad essere preda ed in balia delle emozioni: farà fatica a mantenere lucidità, a fare analisi complesse delle situazioni, a comprendere le priorità, a mantenere impegni a lungo termine. Farà fatica a gestire i conflitti, anzi, tenderà ad innescarli con facilità rendendo la propria vita affettiva molto povera e frammentata, connotata dalle perdite e dagli abbandoni. Sarà raramente calmo ed in pace con sé stesso. Non sarà capace di sopportare la frustrazione: il passo all’aggressione fisica, è breve. Non gli sarà agile occuparsi stabilmente di sé e di chi gli sta a cuore. Modalità poi che di fatto rendono  impossibile una pacifica e costruttiva convivenza sociale.

Siamo perennemente connessi: di fatto, passiamo la giornata ad incamerare immagini che riguardano scambi sociali di ogni sorta. O meglio: di categorie ben definite. Immagini confezionate per emozionare, dirette allo strato limbico del cervello. Lo smartphone è oramai il buco della serratura attraverso il quale prendiamo contatti con il mondo. Viviamo certamente più scambi virtuali che reali. Ciò che vediamo sui social e in tv è il mondo all’interno del quale ci muoviamo, dal quale desumiamo significati su noi stessi e sugli altri. Che poi utilizziamo per dirigere i comportamenti: sono immagini che fanno scuola, proprio così, ci educano. Che lo si voglia o no. Che lo si sappia o no. Chi si lascia ad espressioni di ira, esprime qualunque pensiero offensivo per poi ritrattare formalmente con messaggi di scuse, dimostrando scarsa padronanza di sé, distrugge intenzionalmente degli oggetti per manifestare il proprio punto di vista, si mostra come un irresponsabile e istruisce il pubblico all’irresponsabilità, legittimandola ed esibendola come forma autorizzata di espressione di sé. Perché è irresponsabile proprio colui che non riesce a valutare le conseguenze a breve e lungo termine delle proprie azioni.

Non tollerate chi insegna l’aggressione. Non fa ridere: fa danno.